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La trottola ideale

Ultimo Aggiornamento: 07/10/2008 15:56
25/08/2008 18:36
 
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Di seguito posto un racconto scritto questa estate, per dare respiro alla sezione.
Lo dedico ad una amica, Veronica. Di cuore. E' il racconto della conquista della mia libertà. Verrà in futuro ampliato.

LA TROTTOLA IDEALE


Era l’estate in cui compivo 15 anni. Mio cugino Sandro era a Cervia, appena tornato da un coast to coast in autostop negli Stati Uniti, da New York alla California, poi giù fino in Messico. Mi raccontava le avventure di quel viaggio. Rimanevo ad ascoltarlo per ore.
Alternavo giornate nelle quali non mi staccavo da lui ad altre in cui uscivo con gli amici. Le prime uscite di sera, le prime ragazze. La mia era una adolescenza senza traumi, anche se cominciavo a manifestare i primi istinti di ribellione nei confronti dei miei genitori e da ciò che loro si attendevano da me.
Alcune sere giocavamo a calcio o a frisbee in strada, a piedi scalzi, con i capelli lunghi che coprivano la mia schiena abbronzantissima. Altre sere giocavamo a pingpong per ore, con la luce del giardino che ci illuminava debolmente.
Sandro aveva nove anni più di me, ma la differenza di età non si sentiva mai, forse per la sua voluta immaturità, o forse per il mio rapido processo di maturazione. Sandro aveva un fisico da Tarzan dovuto alle varie attività sportive in cui eccelleva, e piaceva moltissimo alle ragazze. Anche in spiaggia ci divertivamo facendo sport e lunghe nuotate all’ora di pranzo o verso sera, prima del tramonto.
Un giorno Sandro trovò a casa mia delle vecchie trottole di legno e ne rimase rapito. Cominciò a pensare che bisognava inventare la trottola perfetta, quella che non poteva ruotare all’infinito per via dell’inevitabile attrito, ma quasi. Non solo cercava la trottola perfetta, ma anche la superficie ideale su cui fare i suoi esperimenti. Si procurò un cronometro, e trascorreva ore a far girare le trottole ovunque, cronometrando il tempo massimo in cui riusciva a farle ruotare prima che lentamente si adagiassero su se stesse.
Mi coinvolse in questo bizzarro hobby e ciò fece andare in crisi i miei genitori, che non capivano il significato di trascorrere ore a far girare delle vecchie trottole colorate. Sandro riuscì a procurasi altre trottole di vari formati e con caratteristiche diverse: alcune sottili, altre più panciute e pesanti. Mia nonna era l’unica persona che ci appoggiava e un giorno tirò fuori dalla soffitta due pirone (termine dialettale) che si mettevano in moto srotolandole da una corda con la quale venivano poi mantenute in rotazione infinita frustandole ripetutamente. Così giravamo per casa seguendo queste due grandi trottole di legno in moto costante, come due pazzi.
Sandro però decise che tenere in vita le trottole in questo moto artificiale non aiutava i suoi esperimenti. La trottola ideale doveva girare all’infinito senza aiuti esterni. Riprese così a cronometrare i lanci con le piccole trottole e ad annotare i vari tempi su un piccolo quaderno, indicando sempre le superfici di scorrimento. Ciò lo portò ad una selezione degli oggetti migliori, quelli che più si avvicinavano alla perfezione. Praticò anche alcune piccole modifiche alle punte. Come superficie più idonea scelse il tavolo da pingpong.
Certi pomeriggi estivi, al ritorno dalla spiaggia, stavamo per ore a giocare con le trottole sul pingpong. I vicini ed i passanti ci guardavano sbalorditi. Un giorno passò a prendermi il mio amico Yul. Andammo in pineta con due ragazze e ce le facemmo. Come al solito Yul si prese la ragazza meno carina ed io l’altra. In questo andavamo sempre d’accordo. Yul diceva che più una ragazza era brutta più era facile che ci stesse. Io invece, già allora, ero un’esteta, difetto che mi portò in seguito varie volte sull’orlo della rovina.
Un pomeriggio Yul passò a casa mia mentre con Sandro proseguivo gli esperimenti alla ricerca della trottola dal moto quasi infinito. Gli dissi che quel giorno non avevo voglia di uscire, che volevo rimanere a casa a proseguire i tentativi. Yul osservava con stupore quel ragazzone ventiquattrenne che non prestava alcun interesse ad altro che non fossero le trottole. Da allora Sandro divenne per tutti i miei amici “quello delle trottole”. Yul mi chiedeva spesso se Sandro fosse pazzo. Io naturalmente gli rispondevo di no. Mi resi conto che nessuno poteva capire il significato di quello che stavamo facendo, di quella ricerca utopica apparentemente senza senso, a parte mia nonna, che era sempre stata una grande idealista e disinteressata alle cose materiali.
L’estate trascorse bellissima e Sandro proseguì questi ed altri esperimenti a Roma. Poi una notte di settembre tornò, all’insaputa di tutti. Di mattina prestissimo mia nonna mi svegliò: “è arrivato Sandro”! Sentii parlare in lontananza i miei. Dicevano che era ora di intervenire nei miei confronti. Mia madre entrò nella mia camera da letto. Ero ancora sonnolento. Mi intimò di non parlare con Sandro, di stargli alla larga. Mi diceva che dovevo vergognarmi, che sembravo lo scudiero di un cavaliere pazzo. Non capiva che nel rapporto fra me e mio cugino c’era un equilibrio perfetto e paritario. Non capì nemmeno che quando mi fece leggere “Sulla strada” era per il mio bene, affinché io crescessi libero e selvaggio, senza condizionamenti (anni dopo vidi mia madre che di nascosto leggeva quel libro). Così trascorsi con lui altri giorni pazzi e felici prima di tornare al liceo (dove per altro eccellevo). Venne di nuovo il giorno del distacco, per la felicità di tutti o quasi, ma ormai ero pronto a percorrere da solo la strada davanti me e a sradicarmi definitivamente dalla mia famiglia.
Non riuscimmo a progettare la trottola ideale, ma da quel momento in poi capii che non bisognava aver paura di cercare, di tentare l’impossibile, e che possedevo tutta la forza per poterlo fare. Capii il significato di quando Sandro costruì la zattera per andare in Yugoslavia e che affondò in mare dopo pochi minuti, o di quando al circo si offrì per montare un cavallo selvaggio che lo scaraventò pesantemente a terra. Non era importante il risultato, anzi, il risultato era ciò che di più superfluo potesse esistere. Era fondamentale avere il coraggio di impugnare con forza la spada e recidere le corde che tenevano la mongolfiera ancorata a terra, per poter prendere il volo e sparire, nell’infinito sconosciuto. Da allora non tornammo più sulla terra.

So er lebt… (Così egli visse…)
Frase finale del romanzo incompiuto “Lenz” di Georg Büchner.

26/08/2008 09:47
 
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Questo racconto a me piace un sacco!

Hai fatto bene a postarlo anche qui!
26/08/2008 20:09
 
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Re:
=Ranchan=, 26/08/2008 9.47:

Questo racconto a me piace un sacco!

Hai fatto bene a postarlo anche qui!




Uno dei migl [SM=x1460399] iori. Da sviluppare di sicuro!
26/08/2008 20:57
 
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molto bello, mi è piaciuto molto.

bravo!
26/08/2008 22:06
 
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disponibile69, 26/08/2008 20.57:

molto bello, mi è piaciuto molto.

bravo!




se tu facessi meno il marpione e spuntassi un pò di più su Nuove Narrazioni, ne leggeresti di cose belle e coinvolgenti di Deni... marpione che non sei altro! [SM=x1460486] [SM=x1460511]
07/10/2008 15:56
 
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Molto bello!
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