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Per riannodare i fili della memoria spezzata, qualche brano dal libro "bora"

Ultimo Aggiornamento: 09/02/2008 08:45
07/02/2008 08:33
 
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in vista della giornata del ricordo, 10 febbraio
delle foibe ho già parlato tanto...ora in vista della giornata del ricordo (10 febbraio) mi piacerebbe ricordare l'esodo forzato degli italiani dell'istria avvenuto a partire dal 1944...molti questi argomenti neppure li conosco, perchè sono stati nascosti per anni, a scuola nessuno ce li ha mai insegnati...menomale ora sta uscendo tutta la verità, anche grazie a libri bellissimi come quello che sto leggendo..."bora" di anna maria mori, lei stessa profuga.
In sintesi Tra il 1944 e la fine degli anni Cinquanta, gran parte della comunità italiana dell'Istria, di Fiume e della Dalmazia abbandona la propria terra. A ondate successive, quasi 300.000 persone, appartenenti a ogni classe sociale, vengono costrette a fuggire dal nuovo regime nazionalcomunista di Tito che confisca le loro proprietà, le reprime con la violenza poliziesca, giungendo talora a un vero e proprio tentativo di "pulizia etnica". leggere queste cose, scritte dai diretti protagonisti mi fa quasi piangere...forse perchè ho visto quanto è bella l'istria, la conosco bene, e so che è un posto unico al mondo, così diversa dal vicino friuli, così selvaggia, ricca di fiori, con quella terra rossa, con quei borghi ora slavi, ma così italiani, così simili a venezia, con i leoni di san marco che ti guardano dall'alto di ogni angolo o colonna, con le scritte sbiadite nelle ex stazioni ferroviarie ancora in italiano...
e quindi sapendo quanto sono speciali quei posti mi metto nei panni di chi è stato costretto ad abbandonare quei territori...come la scrittrice di questo libro...anna maria mori...
tra queste pagine si scopre cosa pensa, prova, anche senza raccontarlo neppure a se stesso chi è stato sradicato dalla propria terra e allontanato dalla propria gente e dalla propria casa, come Anna Maria, istriana di Pola, ancora bambina, che ha lasciato con la sua famiglia i luoghi della sua infanzia al termine della seconda guerrra mondiale....e poi a due voci, si sente anche quello che ha provato una coetanea della protagonista, Nelida Milani, che invece è rimasta in istria, e pur restando, viene separata da coloro assieme ai quali è cresciuta, ed ha imparato a parlare, leggere, comunicare. Deve rinunciare alla sua lingua e alla consuetudine di un mondo che, con brutale ferocia, le veniva snaturato. Le due donne, una volta adulte, unite da una sorte uguale e contemporaneamente diversa, si sono scambiate una fitta corrispondenza, tante lettere, dove le riflessioni si intrecciano ai ricordi, gli aneddoti si sovrappongono alla cronaca degli eventi storici, la nostalgia si coniuga con il senso di privazione...tutto questo è il libro "bora" e lo consiglio a tutti!!
ed ora qualche brano per me più significativo

Qui Anna Maria descrive la foto di una bambina che sorride...se stessa da piccola...dice che "il luogo in cui è scattata non viene precisato, è dato per ovvio e sottointeso. Perchè, salvo avvenimenti straordinari, il luogo del nascere, in genere sarà anche quello del vivere in seguito; si pensa che sarà il luogo del -sempre-, non mettendo in conto come si dovrebbe, che gli eventi straordinari sono alla fin fine, l'ordinario vivere. E comunque il luogo della foto con la bambina che ride, sotto la frangia di capelli biondi, è Pola, Istria, Italia.
Pola: il computer sottolinea il nome in rosso, per avvertire che ci dev'essere un errore. Strano, fino a cinquant'anni fa era quel che si dice una ridente cittadina che ha dato i natali tra gli altri, a musicisti come Luigi dalla Piccola e Antonio smareglia, trenta-quarantamila abitanti, un porto militare di primaria importanza, e l'eleganza straordinaria di vistosi e bellissimi resti romani: oggi, più niente, a tal punto è stata cancellata dalla storia e dalla memoria collettiva, che il computer, al suo nome, si innervosisce e segnala "errore". Proviamo con la sua nuova identità: Pula. Ecco il computer che accetta: si è allineato anche lui con la decisione del trattato di Parigi del 10 febbraio 1947, per il computer e quindi per la collettività Pola non esiste più, non c'è più, addirittura non è mai esistita: c'è Pula, Histra, Croatia

Anna Maria poi inizia a ricordare "Sono venuta via da Pola dove sono nata, nel 1946. E quando accadde, per me e per altri 350mila, avevo pochi anni: da allora ho trascorso la vita cercando di rimuovere, reagendo con insofferenza alle canzoni in dialetto di mia madre, alle sue reminescenze di lontane e locali povertà e gioia di vivere nonostante la povertà, alla sua inquieta e costante ricerca del ritorno, del risarcimento dell'ingiustizia subita, alle sue lacrime, che oggi, da lei che non c'è più, sono diventate le mie, al coro del "va pensiero" scelto come inno ufficiale dell'esodo istriano di cinquant'anni fa.
Non è vero che io e tutti i 350mila esuli istriani eravamo, siamo, borghesi e fascisti. Non è vero che tutta l'istria era slava e doveva tornare alla jugoslavia. Non è vero che tutta la mia gente è nostalgica ed irredentista. Ma a che serve oggi, dire non è vero? Ho salvato la mia integrità nascondendomi o meglio, ho fatto come san pietro che rinnegò Cristo tre volte. Io ho rinnegato ben più che tre volte la mia origine istriana; per decenni alla domanda "dove sei nata" rispondevo "A firenze" dov'è nato mio padre, evitando così illazioni, luoghi comuni, idee standardizzate. ho evitato discussioni che invece molti della mia gente hanno testardamente continuato a fare, nel tentativo di smontare quell'immenso castello di bugie che ci riguarda, come istriani ed esuli


bene ora smetto..però aggiungerò altri brani significati man mano che vado avanti con il libro..magari non avrete voglia di leggerli...ma chissà mai dire mai..
09/02/2008 08:45
 
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so che questo argomento a molti non interessa..ma io continuo a postare brani interessanti...è una storia vera, vi ricordo...

"non so quanto ho iniziato a portarmi dietro il mio animo diviso, il mio semenzaio di contrasti. Forse da quell'episodio del cane. Per un attimo rivedo me stessa bambina, con le trecce scure, il vestito con le cappe al posto dell'orlo, in una giornata di primavera, mano nella mano con mio fratello, andavamo da Veruda a Valcane, parlavamo logicamente nella nostra lingua, nostra come il latte, come il pane, come l'aria, come il cibo, come l'acqua, come il sole, come il sale, parlavamo nella maniera più naturale del mondo senza renderci nemmeno conto di fare uso di una certa lingua, non avevamo nemmeno cognizione della differenza fra le lingue. Vicino alla scuola elementare "Vladimir Goitan" un uomo stava fermo con un grosso cane, ma noi non riuscivamo a mettere completamente a fuoco l'immagine. Gli andavamo incontro, ignari. Quando gli fummo vicini lui ci guardò con occhi cupi e fermi e ci disse "se vi sento ancora parlare italiano mollo il cane che vi divori. ve la faccio passare io la voglia di parlare questa lingua fascista"
ci afferrò il disperato istinto di fuga che prova un animale selvatico davanti a un essere molto più grande, più potente di lui. Nell'istante in cui ci fissammo, come bestie prima di prendere ciascuno la propria decisione, lui di attaccare col suo cane e noi di fuggire, capimmo di colpo che in quel gioco spaventoso ogni tentativo di fuga o di difesa era ridicolo; avevamo meno probabilità di una lepre inseguita perchè le nostre gambe erano paralizzate dalla paura. Ce ne restammo zitti e per tutta la strada fino alla casa di donna, domandandoci "in che lingua dovevamo parlare??"

fu così che i fratelli della protagonista si iscrissero alla scuola croata ed i loro nomi, claudio e diego..divennero Klaudio e Dijego
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