00 30/04/2008 12:26
E' da un po' di tempo che nessuno scrive qualcosa qui. Posto un racconto scritto durante l'ultimo viaggio in Brasile (novembre e dicembre 2007). Il titolo è un brano jazz suonato fra gli altri anche da Charlie Parker.





LAST NIGHT IN RIO

L’ultimo giorno a Rio ha un sapore particolare. C’è in me sempre il timore che sia l’ultima volta, l’ultima volta nella cidade maravilhosa. La giornata comincia come tante altre, ma non riesco a restare molto tempo in spiaggia. Faccio un bel bagno, questo sì. Prendo un poco il largo, poi mi lascio portare a riva (sarebbe più giusto dire “sbattere a riva”) dalle onde altissime.
Mangio nel solito botequim all’angolo, e bevo i miei amati succhi di frutta. Mi siedo su un muretto ad osservare il passeggio, una delle cose più belle che si possono fare a Rio. Fa caldo, circa 35°C e c’è un bellissimo sole. Osservo la gente. C’è molta bellezza, tanta, tanta bellezza nei volti, nei corpi scolpiti delle persone più giovani, nelle rughe espressive degli anziani, nella purezza incontaminata dei bambini. Le ore passano e non me ne accorgo.
Sistemo le ultime cose in albergo, con la solita saudade. La solita valigia azzurra. In giro faccio qualche piccolo acquisto. Trovo l’edizione del cinquantenario di Grande Sertão: Veredas. Questo colpo di fortuna vale l’intero viaggio. Libro meraviglioso!
Prima del tramonto ritorno in spiaggia. Guardo l’allenamento di calcio dei bambini del Flamengo. Ci sono i loro genitori ad osservare crescere i loro sogni, le loro speranze.
Ceno velocemente (ho poca fame), poi mi fermo in un chiosco sul lungomare. Aspetto, aspetto con pazienza, guardando in direzione dell’Arpoador. Finalmente, a metà serata, sale splendida la luna da dietro le rocce, e con lacrime d’argento riveste l’oceano con il suo velo di principessa triste. Arrivederci, Rio. Até logo.